Legnardi M., Franzo G., Tucciarone C.M., Tonellato F.R., Koutoulis K.C., Cecchinato M.

La bursite infettiva (IBD), anche nota come malattia di Gumboro, è una patologia virale immunosoppressiva dal notevole impatto sanitario ed economico sull’avicoltura mondiale, ascrivibile sia a focolai caratterizzati da sintomi aspecifici e elevata mortalità che alle conseguenze dell’immunosoppressione, come l’aumento dell’incidenza di infezioni secondarie e di fallimenti vaccinali e il peggioramento dell’indice di conversione alimentare (Alkie & Rautenschlein, 2016). L’agente eziologico della malattia è noto come virus della bursite infettiva (IBDV) e appartiene al genere Avibirnavirus della famiglia Birnaviridae. IBDV possiede un genoma a RNA a doppio filamento composto di due segmenti, denominati A e B. Il segmento A codifica per la proteina capsidica (VP2), una proteina scaffold (VP3), una proteasi (VP4) e una proteina non strutturale (VP5), mentre il segmento B codifica per la RNA polimerasi RNA-dipendente (VP1) (Maraver et al., 2003). Tra le proteine virali, la VP2 risulta essere quella più studiata per via del suo ruolo di principale determinante antigenico e patogenetico (Brandt et al., 2001). Ciononostante, è stato dimostrato come anche la VP1 concorra alla determinazione della patogenicità (Escaffre et al., 2013). Per questo motivo, e per via della rilevanza dei fenomeni di riassortimento per l’evoluzione di IBDV, diverse combinazioni dei due segmenti possono esitare in significative differenze patobiologiche (He et al., 2016; Chen et al., 2018).
Sono noti due sierotipi di IBDV, denominati 1 e 2. Il sierotipo 1 è l’unico a causare la malattia ed è tradizionalmente suddiviso sulla base di differenze antigeniche e patogenetiche. I tre sottogruppi storicamente considerati più rilevanti sono rappresentati dai ceppi classici, i primi ad essere identificati e responsabili della sintomatologia comunemente attribuita ad IBD; i ceppi varianti, caratterizzati da un diverso profilo antigenico e associati a infezioni a carattere subclinico accompagnate da una marcata atrofia della borsa di Fabrizio; e i ceppi very virulent, che al contrario risultano antigenicamente affini a quelli classici, ma marcatamente più virulenti (Eterradossi & Saif, 2020). Al giorno d’oggi, tuttavia, questa classificazione appare sempre più obsoleta e inadeguata a descrivere in modo esaustivo la crescente variabilità esistente tra i diversi ceppi di IBDV (Jackwood et al., 2018).
Essa risulta inoltre di difficile applicazione per via dell’ampio ricorso, nell’ambito della diagnosi routinaria di IBD, a metodiche di biologia molecolare, che non permettono una valutazione diretta né della patogenicità né dell’antigenicità. Ciò ha portato alla necessità di dotarsi di sistemi di classificazione più standardizzati e basati sulla filogenesi. Al momento ne sono disponibili tre: il primo, proposto da Michel & Jackwood (2017), prende in considerazione una porzione del gene della VP2, dividendo il sierotipo 1 in 7 diversi genogruppi. I rimanenti due schemi di classificazione, proposti da Islam et al. (2021) e Wang et al. (2021), considerano anche una parte del gene della VP1, permettendo l’identificazione di eventi di riassortimento e riconoscendo, con ottima ma non completa sovrapposizione, 9 genogruppi a livello di segmento A e 5 a livello di segmento B. Combinando le due classificazioni in genogruppi, si ottiene inoltre una classificazione composita in genotipi. Successivamente alla proposta di questi tre sistemi di classificazione, un nuovo gruppo di ceppi di IBDV con peculiarità uniche a livello di gene della VP2 è stato identificato in Portogallo (Legnardi et al., 2022), aumentando quindi il computo totale di genogruppi/genotipi.
Per via dell’elevata contagiosità e resistenza a livello ambientale di IBDV, il controllo della malattia non può prescindere da rigorose pratiche di biosicurezza e dall’applicazione della vaccinazione. Le strategie vaccinali ad oggi disponibili includono un’ampia gamma di vaccini vivi attenuati, basati su ceppi a diversa virulenza residua, vaccini vettorizzati e ad immunocomplessi, i quali possono differire per vie e tempistiche di somministrazione (Muniz et al., 2018). Indipendentemente dalla strategia adottata, il controllo di IBDV dovrebbe comunque prevedere l’allestimento di un solido sistema di monitoraggio che consenta di identificare, caratterizzare e combattere efficacemente eventuali minacce epidemiologiche. Coerentemente con questi principi, questo studio si pone come obiettivo quello di fornire, utilizzando gli strumenti offerti dai moderni sistemi di classificazione, un aggiornamento epidemiologico sulla situazione di IBDV in Europa occidentale.